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Venezia, visita alla Biennale: Nedda Guidi

Lungo il percorso ideato alla Biennale da Adriano Pedrosa troviamo una delle stanze più delicate nel Padiglione Centrale ai Giardini.
È quella dedicata alla filippina Maria Taniguchi, con le grandi tele scultoree quasi monocrome nere-grigie appoggiate direttamente a terra, all’italiana Edda Guidi con le sue stupende ceramiche messe su una pedana a pochi centimetri dal pavimento e alla cinese Evelyn Taocheng Wang che affascina con le sue grandi pitture minimaliste dai delicati colori pastello ispirate all’opera di Agnes Mardin.
Dalle opere in dialogo si sprigiona una enorme energia e non solo per la raffinatezza dei colori e dei materiali, ma soprattutto per lo spirito creativo che porta le tre artiste, distanti per età e geografia, a raccontare con leggerezza la fatica del fare arte in modo così meticoloso e perfetto.
Maria Taniguchi costruisce, letteralmente, disegnando minuscoli mattoncini che riempiono tutta la tela, una vera architettura mentale sulle sfumature del nero.
Evelyn Taocheng Wang dipinge la serie Do Not Agree with Agnes Mardin All The Time omaggiando la pittrice canadese, organizzando però il dipinto nella più pura sensibilità taoista e nella tradizione cinese, aggiungendo alla griglia minimalista perfetta elementi disturbanti come bambù, frutta, un wok.
E poi quasi a terra risaltano potenti le piccole sculture in ceramica incisa di Nedda Guidi.
Nata a Gubbio nel 1927 e morta nel 2015 a Roma, Nedda Guidi è una delle più importanti scultrici a livello internazionale e usa un materiale considerato povero come la ceramica per creare le sue opere.
Come donna, attivista, femminista e lesbica, è stata emarginata dal mondo dell’arte, forse anche per la scelta di usare la ceramica, che se utilizzata da artisti uomini come Picasso, Fontana, Leoncillo era invece accettata e rispettata.
Nedda Guidi studia filosofia e inizia successivamente la sua carriera artistica da autodidatta, avvicinandosi a ceramica e terracotta nelle manifatture di Gubbio.
Le sue sculture sono per lo più modulari, sperimenta smalti colorati e ossidi metallici, oltre a utilizzare tecniche innovative nell’uso della ceramica. Modulare I del 1968 in mostra ha un volume geometrico che richiama un corpo (non abbandonerà mai la ricerca filosofica sull’uomo), è composto di quattro forme identiche e ordinate, smaltate in blu elettrico, spezzate da inserti rosso vivo, come una ferita sulla materia corporea.
L’artista riesce a fondere magistralmente l’abilità dell’artigiano con la visione dell’artista, assumendo un ruolo di scultrice chiave nella tecnica rivoluzionaria della ceramica contemporanea.
Uno dei progetti speciali della Biennale la vede protagonista alla Polveriera Austriaca di Forte Marghera a Mestre, dove sono esposte dieci sue creazioni, tra cui le Tavole di campionatura e la poetica installazione Morandiana o Vasi rovesciati dai tenui colori pastello. I vasi rovesciati sembrano tante teste rivolte verso lo spettatore, lo osservano trascinandolo nel mondo astratto e incantato di questa poetessa della materia.