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La tradizione della Castradina

Il piatto che non può mancare sulle tavole dei veneziani nel giorno della Festa della Salute.

Obligo no ghe n’è, ma stamatina,
sia pur piova, caligo o bavesela,
ogni zente cristiana e cristianina,
in ciesa vol andar e proprio in quela!
I passa el ponte, i crompa la candela,
el santo, el zaletin, la coronçina,
e verso mezodì l’usanza bela
vol che i vada a magnar la castradina.
El bacaro xe pien; e la parona
che, drio del banco, conta le valute
la ghe dise al marìo che no ragiona:
“Sarà quel che ti vol, ma la Salute
(pol scondarse qualunque altra Madona)
come festa, per mi, va sora tute!”

In questa deliziosa poesia Domenico Varagnolo descrive in poche strofe, con leggerezza e affetto, la festa della Salute, che ogni veneziano ama e a cui non rinuncerebbe mai. E’ una festa tra sacro e profano, con candele, messe, bancarelle traboccanti di dolci e zucchero filato e gli immancabili palloncini.

Tra le righe il poeta nomina la castradina, che si può gustare solo a Venezia e solo per una settimana all’anno proprio a ridosso delle celebrazioni della Salute. Ormai sono rari i macellai veneziani che pochi giorni prima del 21 novembre mettono in bella mostra i cosciotti di montone affumicato e ricoperto di spezie, essenziali per preparare il piatto tipico della festa.

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La castradina

Ma cos’è la castradina e perché ancora oggi si cucina e si serve nelle case della città?

Si sa quanto i veneziani siano legati alla tradizione e alla storia della città.
Il piatto della castradina, semplice e al contempo elaborato, è un omaggio ai Dalmati. Nei lunghi anni della peste bubbonica che devastò l’Europa nel 1630 e provocò più di un terzo di vittime tra la popolazione, Venezia era quasi totalmente isolata.
Gli unici che osarono sfidare il morbo furono i Dalmati, che continuarono ad approvvigionare la città trasportando nei trabaccoli la carne di montone affumicata. Gli animali arrivavano soprattutto dai Balcani, approdavano in Riva degli Schiavoni, chiamata così perché Sclavonia era detta tutta la fascia costiera di Dalmazia, Bosnia, Albania.

La spalla e la coscia del castrato o agnellone venivano preparate quasi come i prosciutti odierni, salate e massaggiate con una concia fatta con sale, pepe nero, chiodi di garofano, bacche di ginepro e fiori di finocchietto selvatico. Dopo la preparazione, i pezzi di carne venivano asciugati e affumicati leggermente, appesi all’esterno dei camini per almeno quaranta giorni.

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Si dice che il termine “castradina” derivi dai “castra”, le caserme e i depositi delle fortezze dei veneziani sparse nelle isole dei loro possedimenti, dove venivano conservate le vivande per le truppe e i marinai schiavoni delle galere. Una volta all’anno le carni secche venivano sostituite con quelle fresche e le vettovaglie in giacenza venivano divise tra la popolazione e i poveri. Ciò avveniva in genere verso fine novembre, così la festa della Salute coinciderebbe con questa usanza.

Più probabile invece che il termine sia un diminutivo di castrà, forma popolare per castrato di montone o agnello.

Le prime notizie si hanno nel Calmiere del doge Ziani del 1173 dove si parla di Sicce vero carnis de Romania et de Scavinia, carne salata e seccata al sole e affumicata con erbe, bacche aromatiche e spezie dall’Oriente. Durante la peste, questa carne secca era perfetta, poiché non si potevano commerciare carni fresche per pericolo del contagio.

Una cosa stupefacente è come a Venezia, che non ha mai avuto allevamenti di animali, si sia mantenuta viva la tradizione dell’uso della carne di montone affumicata, che raccoglie tutti i profumi e i sapori d’Oriente.

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L’architetto Marino Alessandri al convento di S.Francesco della Vigna

E proprio per perpetrare la festa della Salute e la convivialità, anni fa un gruppo di amici, riuniti attorno all’architetto Marino Alessandri, ha fondato la Confraternita della Castradina, che si riuniva la vigilia del 21 novembre e celebrava la tradizione assieme ai frati francescani nel convento di San Francesco della Vigna, gustando il piatto principe, la castradina con le verze, preparata mirabilmente dal Gran Maestro. 

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Il piatto è semplice ma molto elaborato, poiché richiede una lunga preparazione, che può durare fino a 3 giorni, in ricordo dei sopravvissuti alla peste del 1631, che per tre giorni e tre notti pregarono in processione attorno a Piazza San Marco per far cessare il morbo.

Per questo motivo la ricetta inizia col far bollire la castradina per tre volte in tre giorni per permettere alla carne salmistrata di purificarsi e diventare tenera. Si fa poi cucinare la carne per ore e si aggiunge alle verze “soffocate”. Il risultato è una deliziosa zuppa, leggera e saporitissima.

Per una zuppa di castradina eccellente ecco la ricetta dello chef Pierluigi Ceolin:

Ingredienti per 6 persone:

1.5 kg di carne di castrato già pronta, 1 kg di sedano verde, 2 cipolle, 2 carote, alcune foglie di alloro, un rametto di timo, alcune bacche di ginepro. Per le “verze sofegae”: 1 Kg di verza circa. Olio extravergine di oliva q.b., 1 cipolla, 1 spicchio di aglio tritato, 1 ramoscello di rosmarino, brodo vegetale, sale e pepe q.b.

Preparazione:
1 Mettere a bagno la carne di castrato per almeno un giorno, prima in acqua bollente, poi in acqua tiepida, cambiandola più volte, il tutto per togliere sia il sapore dell’affumicatura che il salato, ma soprattutto per farla rinvenire.
2 Dopo questa operazione farla bollire per un’ora e mezza con il sedano, le cipolle, le carote, l’alloro, il timo, le bacche di ginepro. 
3 Togliere dal fuoco, lasciare raffreddare la carne tenendola in un luogo fresco ed eliminare il grasso rappreso in superficie. 
4 Rimettere la carne sul fuoco e cucinare per altre cinque ore per ottenere lo stracotto.
5 Nel frattempo ricavare dalla verza le foglie bianche, lavarla e tagliarla a pezzi versandola in una casseruola dove si avrà fatto appassire una cipolla tritata con l’aglio e l’olio. 
6 Lasciare tostare per circa sette minuti, insaporire con il sale e il pepe macinato al momento e continuare la cottura a fuoco basso e casseruola coperta, bagnando se necessario le verze con il brodo vegetale.
7 Sfilettare la carne, e metterla assieme alle verze facendo terminare la cottura di quest’ultime. 
8 Alla fine si otterrà un composto piacevolmente morbido. 

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 Ed ora buon appetito e buona festa della Salute a tutti!

Ci sono anche alcuni detti tipici veneziani legati a questo tipo di carne:

-         cavarsela de castradina che vuol dire divertirsi;

-         castradina, roba fina, ma magnarla in cantina, per dire che era un piatto elaborato, ma che esalava cattivi odori.

Se volete saperne di più sulla storia, la tradizione, l’arte della basilica della Madonna della Salute, di questo importante evento veneziano, leggete il nostro post: Venezia tra sacro e profano: la Festa della Madonna della Salute.

Ciao a tutti. A presto!
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